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MINDSCAPES & SKYLINES | Ode to New York

CAPITOLO PRIMO: New York era la sua città e Brooklyn il suo quartiere: proprio lì vi cresceva un albero che forse, alla fine, era anche un po’ come lei, capace di resistere al cemento come alle avversità e alle difficoltà della vita…senza mai perdere la forza di andare avanti e crescere.

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No, mi pare che non ci siano: troppo strappalacrime? Ricomincio daccapo

CAPITOLO PRIMO: Era troppo romantica nei riguardi di New York, come lo era per Manhattan e tutto ciò che la città aveva da offrire. Trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico: gente che andava e veniva, piena di tipi in gamba e donne che vi lavoravano con talento o che vi arrivavano per la prima volta piene di aspettative e di apprensione per il futuro.

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Mi pare buono, ma….proviamo con questo                                                                               

CAPITOLO PRIMO: Adorava New York, no, meglio, la mitizzava smisuratamente. Per lui, in qualunque stagione era una città in bianco nero che pulsava dei ritmi dei grandi motivi di George Gershwin e del jazz. Era la città dei gangster, delle custodie di sax, dei grandi affaristi e di chi si era fatto da solo. Era la città che celava segreti, era la città di gente come J.P. Morgan e Henry Frick: era la città dei grandi come era la città dei commessi.

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Non no…già sentito….SI’..PERO’ FORSE…

CAPITOLO PRIMO: Adorava New York: amava osservare la gente che portava a spasso il cane per Central Park o si fermava a prendere un caffè: adorava gli angoli nascosti e le piccole dolcezze che avrebbero potuto entrare in una guida del gusto. Gli piaceva pensare allo straordinario incrociarsi di storie, belle o brutte che fossero, di destini tragici e di felicità ritrovate col silenzio, con le lacrime e col dolore. Si incrociavano destini, amori, forse. Ma soprattutto storie, la sua, come quella degli altri.

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Non male, però ammettiamolo: triste…     Ecco! Adesso ci sono!

CAPITOLO PRIMO: New York era la sua città e lo sarebbe sempre stata.

IMG_20130418_194006Film frame da “Manhattan” (Woody Allen, 1979)

Non ho mai visto New York e conto presto di poter dare la giusta geografia al mio panorama mentale: questo post è liberamente ispirato a “Manhattan” di Woody Allen.

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Ringrazio Francesca Esse per Auster e la Libreria Altrevoci per la consulenza nonché per tutti i libri forniti!

 ♥

A presto,

Nichka

MONUMENTA LITTERARUM | perché abbiamo bisogno dei classici (?)

Centocinquantadue minuti totalmente cantati dura la nuova versione de “I Miserabili” di Hugo portati sullo schermo da Tom Hooper, acclamato e pluripremiato regista di quel gioiello che è stato “Il discorso del Re”, film che ho amato moltissimo.  Mentre ascoltavo il programma radiofonico che parlava di questo nuovo film -che ha rinnovato completamente il genere musical- decantando la bravura di tutti gli attori provati dalla faticosa impresa di cantare in presa diretta, ho pensato che nel giro di davvero pochi anni non si contano gli sceneggiati e i film tratti  dai classici della letteratura.

Non parlo di classici dell’antichità, ma di classici del nostro tempo o dei secoli scorsi: da “Great Expectations” di Dickens ad “Anna Karenina”, da “Il Grande Gatsby” di Fitzgerald (che presto rivedremo sugli schermi grazie al rifacimento di Baz Luhrmann) fino al contemporaneo “Ai piani bassi” di Margaret Powell al quale Julian Fellowes si è ispirato per creare quel magnifico sceneggiato che è “Downtown Abbey”.

All’inizio ho subito pensato al concetto di trasposizione letteraria: a come e a quali filtri e meccanismi intervengano nel portare al cinema non solo una monumento letterario nel vero e proprio senso del termine, ma anche un romanzo particolarmente riuscito e ben scritto.  Ma questa è un’altra storia che –prometto- di riservare a un prossimo post.

Più in là della trasposizione letteraria, mi sono chiesta la ragione della realizzazione di un film su un classico letterario: perché abbiamo sempre bisogno dei classici? Perché, anche secondo voi, non possiamo rinunciare a portare sullo schermo storie che già sono state trasposte sullo schermo? E’ una mancanza d’ispirazione o una sfida creativa, per rendere tutto più sontuoso (o più minimale) o per dare una nuova “lettura” (filmica e non) di quanto già fatto in precedenza?

Sui classici, sul bisogno e sul perché di leggerli ci aveva già pensato Italo Calvino con un meraviglioso libro che caldeggio sempre: “Perché leggere i classici” (Mondadori) e, una delle prime definizioni da lui date è talmente vera che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

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A mio modesto parere abbiamo bisogno dei classici perché, in questo momento storico, sentiamo la necessità di evadere: il mondo che viviamo non ci piace; abbiamo bisogno di classici perché ci ritroviamo nelle vicissitudini dei protagonisiti, personaggi talemente grandi e perduranti e “vivi” nel tempo, tali da assurgere a “tipi e modelli” che possiamo sempre riconoscere. Abbiamo bisogno di classici perché in essi c’è la Vita: per ritrovarci, per rassicurarci; abbiamo bisogno di classici per un suggerimento, per un segno che intendiamo cogliere in un particolare e delicato stato della nostra esistenza.

Abbiamo bisogno di classici perché “Ogni rilettura è in realtà una prima lettura […] e perché “un classico non ha mai finito di dire quel che ha da dire” (I. Calvino).

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Così, in attesa che mi raccontiate quali sono i vostri “classici”, non solo i monumenti letterari con i quali siamo diventati grandi e che da grandi abbiamo ripreso in mano, lascio qui di seguito una mia selezione di letture, riletture e libri  ben scritti che forse…chissà, meriterebbero anche un film….

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A presto,

Nichka